Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Ambiente (aggiornati a novembre 2017), che ha ricevuto l’incarico di realizzare, di concerto con le Regioni, la mappatura completa della presenza di amianto sul territorio nazionale (il cosiddetto Piano Nazionale Amianto), in Italia ci sono circa 86.000 siti interessati dalla presenza di amianto, di cui 7.669 risultano bonificati e 1.778 parzialmente bonificati. Tra questi siti rientrano anche i 779 impianti industriali (attivi o dismessi) censiti (l’aggiornamento in questo caso è risalente al giugno 2014) e i 10 SIN (siti di Interesse Nazionale da bonificare) che presentano problemi connessi al rischio amianto.
Numeri che lo stesso Ministero dell’Ambiente ritiene essere sottostimati, in quanto i dati raccolti dalle Regioni – che hanno utilizzato criteri non omogenei nella raccolta dei dati – non consentono ancora una copertura omogenea del territorio nazionale.
Difficoltà quindi ad avere un quadro esaustivo a livello nazionale non solo per la disomogeneità dei dati raccolti (nonostante “le modalità di esecuzione della mappatura sono state concordate e definite a livello nazionale con le stesse regioni e province autonome che hanno creato un apposito Gruppo Interregionale Sanità ed Ambiente”) ma anche in virtù del fatto che non tutte le Regioni forniscono regolarmente l’aggiornamento annuale dei dati sul censimento e sulla mappatura come invece prevede obbligatoriamente la legge (il termine stabilito è il 30 giugno di ogni anno).
Uno degli obiettivi del Piano nazionale Amianto era anche arrivare ad una razionalizzazione della normativa di settore; tale obiettivo era effettivamente una delle priorità in quanto in oltre 20 anni di produzione normativa, si era giunti ad una situazione ingarbugliata e spesso contraddittoria tra norma e norma, tanto da non rendere agevole e di facile interpretazione la procedura sia per il legislatore che per gli utenti.
In questa direzione di armonizzazione e semplificazione era volta la stesura del “Testo Unico per il riordino, il coordinamento e l’integrazione di tutta la normativa in materia di amianto”, presentata nel novembre del 2016 al Senato, e realizzato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno degli infortuni e delle malattie professionali. Il provvedimento, che prevede 128 articoli suddivisi in otto titoli che toccano diverse materie (dall’ambiente alla sicurezza del lavoro, dallo sviluppo alla giustizia, dalla tutela della sicurezza sul lavoro alla tutela della salute collettiva) prevede delle novità rispetto al passato, come “l’obbligo di denuncia e di bonifica, esteso a tutti gli edifici, compresi quelli privati” per poter garantire una mappatura affidabile da parte di Regioni e Asl, oppure l’obbligo di “trasmissione da parte del medico e dell’Asl ai Centri operativi regionali (Cor) delle informazioni relative ai pazienti, in caso di accertamento della malattia” con la finalità di avere un registro tumori presso l’Inail (ReNaM) in continua evoluzione e aggiornamento. Altra novità prevista l’istituzione di una Agenzia Nazionale Amianto che dovrebbe diventare il punto di riferimento generale per i molteplici settori che riguardano l’amianto.
Il Testo Unico è al momento ancora fermo in Senato. In questa fase sarebbe opportuno intervenire per migliorarlo in molti aspetti e contenuti:
- quello relativo al “rischio zero”, ovvero che venga stabilito “a tavolino” un limite di concentrazione per i diversi tipi di impiego sotto il quale è ritenuto nullo il rischio mentre sarebbe da intendere come possibile valore che segnala la pericolosità dell’amianto per le persone esposte in quell’ambiente;
- nello stabilire il superamento dei termini di prescrizione per questo tipo di reati legati alla tutela della salute;
- nel superare il conflitto di interessi esistente a carico dell’Inail che è nello stesso tempo ente riconoscitore della correlazione e ente risarcitore;
- nell’affrontare il problema della presenza dell’amianto nelle acque, visto il largo utilizzo del minerale nelle condutture idriche ancora in attività in alrga parte del Paese;
- nello stabilire procedure uniche per la definizione dello stato di degrado delle coperture in c.a. vista la differenza di valutazione applicata da regione a regione;
- uniformando il prezziario per gli interventi di bonifica sul territorio;
- prevedendo e incentivando l’attivazione della “micro raccolta” (esperienza già adottata da numerosi comuni) che, coinvolgendo le Aziende Municipalizzate per la raccolta dei RSU, vada incontro alle necessità di privati cittadini per lo smaltimento di limitate quantità di materiali contenenti amianto, limitando cosìanche il diffondersi di pratiche di abbandono incontrollato di rifiuti.Sarebbero ancora molte le voci in cui poter intervenire o gli argomenti da introdurre nel Testo Unico, così come sarebbero ulteriormente da incentivare le attività di sostituzione delle coperture in amianto con pannelli fotovoltaici, come già avvenuto in passato, che avevano dato dei buoni risultati e visto la partecipazione di numerose imprese e privati.
(fonte: Legambiente – dossier: Liberi dall’amianto?)